Potevamo immaginare il pandemonio che sarebbe successo dopo - processi, sentenze, classifiche decapitate - non quello che il destino ci avrebbe riservato prima, dal 12 giugno al 9 luglio 2006. Campioni del Mondo. Noi, l’Italietta degli scandali che molti avrebbero voluto addirittura nascondere perché figlia del peccato. Marcello Lippi firmò un’impresa. Dodici gol, dieci marcatori. Con i tedeschi, la partita più bella. In finale, con la Francia, la più sofferta. La testata di Zidane a Materazzi si prese troppo, di quella sera. E i politici, come sempre, salirono in massa sul carro. In Spagna, nel 1982, era stata la metamorfosi repentina fra la fase sorda e grigia di Vigo e la strabiliante doppietta Argentina-Brasile a schiantare la diffidenza. In Germania, fu lo spirito guerriero di Cannavaro, Materazzi e Gattuso, con Buffon, Pirlo e Zambrotta a reggere lo strascico. La classe operaia al potere: in ritardo abissale sulla cronaca, ma in perfetto orario per sequestrare la storia. Totti e Del Piero fecero i gregari, e un gregario, Grosso, fece il fenomeno: rigore procurato con l’Australia, primo gol alla Germania, ultimo e decisivo rigore con la Francia. È di questi giorni la notizia che l’Inter l’ha girato al Lione: era uno dei pochi italiani, così impara. Di quel mese sopra le righe, durante il quale tutti azzeccarono tutto, è rimasto poco. Fra un titolo che era pur sempre il quarto e la prima B della Juventus non poteva esserci gara. E difatti non ci fu. La Nazionale di Bearzot aveva appena parcheggiato il marasma del calcio-scommesse. La squadra di Lippi ha dovuto convivere e combattere con Calciopoli, dall’inizio alla fine. E anche adesso, nel ricordo. I rinvii a giudizio della procura di Napoli sono attesi da un giorno all’altro. Il marcio del sistema, tradotto in verdetti che i tribunali sportivi hanno via via annacquato, puzzava troppo perché potessimo farci bastare il profumo di un’avventura, anche se quella. Gli eroi di Madrid trovarono un Paese unito che aveva fame di coccole. I reduci di Berlino hanno trovato una Nazione divisa che aveva sete di giustizia. E così, piano piano, siamo tornati a scannarci, abbasso Moggi e viva Moggi, guardie e ladri, ghigliottina e condoni, Abete presidente e Milan re di Champions. Il solito, italianissimo modo di regolare i conti. Uscire da un incubo rincuora. Ma talvolta è peggio uscire da un sogno felice, specialmente se qualcuno l’ha realizzato per noi. Pensi a come ti hanno cambiato un pezzo di vita e a tutto il resto che non hai potuto o voluto cambiare. Grazie Marcello, grazie ragazzi. Ci avete regalato un’emozione straordinaria. E se il dopo non è stato all’altezza, non è colpa vostra. Voi, più e meglio di quello che avete fatto, non potevate fare. Il ministro Mastella, divorato dall’enfasi, buttò lì una parola: amnistia. Si accese un dibattito. Eravamo tutti stravolti, un anno fa.
Roberto Beccantini (La Stampa, 9 luglio 2007)
Roberto Beccantini (La Stampa, 9 luglio 2007)
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