domenica 6 gennaio 2008

A MILANO O IN UN'ALTRA CITTA'


La malinconia ha infinite tane
infinite come le stelle,
a Milano o in un’altra città,
da cui far alitare la sua aria di stufa accesa.

Da questa citazione di Pasolini ho letto un articolo sulla “psichiatria fenomenologica” ed il modo in cui essa legge il dolore dell’anima. Non so parlare di medicina, ma come sempre leggere la presentazione di un libro di Eugenio Borgna, che si rifiuta nella sua esperienza clinica di rinchiudere la follia dentro mura spesse e opache, fa nascere profonde considerazioni.

Variano l’intensità e la frequenza con le quali si conosce la sofferenza, ma nessuno ne è immune. Jean Amery testimonia e scrive che senza il sentimento di affinità coi minacciati saremmo esuli dalla realtà che rinunciano a loro stessi.

È impossibile tacitare l’anima. Ne deriva un’intima conflittualità che fa avvertire la possibile insensatezza delle cose. Che costringe alcuni di noi a difendersi dalla ricchezza dei pensieri, ad avere nostalgia di quiete. E a non riuscire a vivere compiutamente le illusioni.

C’è in alcuni una forma di pressione che conferisce un peso alle singole cose. È una strana tristezza che resiste in un abbagliante paesaggio interiore. In un racconto di Kafka il malato nel letto decide di nutrire la propria ferita nel fianco non appena capisce che essa non può guarire. La lacerazione è infetta, è vero, ma si apre come un fiore. Perché quella che altri hanno chiamato “la ferita dello sguardo” può portar con sé frutti molto preziosi, come il desiderio che la vita si svolga secondo le consuetudini della bontà e della gentilezza o come il compimento creativo dell’arte. E’ desiderio di amore e di bellezza riuniti in uno, in tutte le sue forme e in tutti i suoi gradi. Lo spiega benissimo Borgna: lo scacco esistenziale è condizione costante nel vissuto di molti artisti, poeti, uomini di pensiero.

Il temperamento malinconico deriva da un senso di colpa, per questo parlavo di pressione, di peso. Un dolore o una sfortuna (malattia e sradicamento, ad esempio) generano senso di colpa. Non è soltanto senso di inferiorità. È un problema di dignità personale, di considerazione di sé davanti agli altri, di disgregazione dell’io. Che produce ipersensibilità e insofferenza alle costrizioni, pubbliche e private, desiderio di solitudine, vita errabonda, bisogno di espandere gli orizzonti fino alla vertigine di ciò che non ha confine.

Dentro questa forte sensibilità le manchevolezze morali del prossimo offendono. La mancanza di aristocrazia, aristocrazia dell’animo fa male. E, in misura particolarmente grave, delude ciò che è basso, volgare. Romano Guardini la chiama affinità elettiva con tutto ciò che può ferire.

Il melanconico si logora, si esaurisce nel tentativo di catturare uno sguardo che lo attraversa senza fermarsi mai su di lui. Fabrizio De André in “Amico Fragile” descrive perfettamente questo eccesso dell’anima, che consiste nell’implorare un po’ d’ascolto, nel voler avere fiducia in uno sguardo comprensivo, in un dialogo emozionale che non rifiuta la dismisura: “con un bisogno di attenzione e d’amore troppo se mi vuoi bene piangi per essere corrisposto”.

La psichiatria fenomenologica propone una psichiatria a misura d’uomo, che non sopprima l’ascolto ma che presti attenzione alle parole del dolore, con frequenza e continuità. La psichiatria che impiega i farmaci a volte le fa tacere troppo in fretta. Le malattie dell’anima sono condizioni comuni all’esistenza umana, ma sono esperienze abissali, dilatate. Il loro linguaggio non va immediatamente tacitato, né, tanto meno, spersonalizzato.

1 commento:

Mondo Felice ha detto...

Si vede che ho studiato un autore così? Antonia