giovedì 21 febbraio 2008

ZARZUELA


A
E
I
O
U
Y

FIO MARAVIJA LA LA LA LA, LA LA LA LA, PE PE PE PE ...... BRIGITTE BARDOT BARDOT BRIGITTE BARDOT BARDOT LA LA LA LA LA. ...

sabato 2 febbraio 2008



It seems like years, when told I cried.
The night I heard Sid Vicious died.
Born in nineteen fifty seven, fun and young a punk in heaven.
The years that stopped at twenty one were full and loud,
a crazy song of drugs and sex and frenzied shows with laughter,
tears, the highs and lows.
Spiked and black, wild forest hair, you walked they stopped and turned to stare.
Gentle giant the friend of we who copy those we'll never be.
Eyes of youth that stare you cold from photos yellow, torn and old.
That look, that smile, he stole my life, and married death a greedy wife.
She robbed your soul denied our dream.
She haunts me now I wake and scream.
Body drenched by cold sweat, I miss the man I never met.

(Neil D Thompson 2.5.80)

mini

domenica 6 gennaio 2008

GENOVA APRIVA LE SUE LABBRA SCURE


La strada è piena di chiari di luna
le tue mani vele per il mare
in questa notte che ne vale la pena
l'ansimare delle ciminiere
Genova era una ragazza bruna
collezionista di stupore e noia
Genova apriva le sue labbra scure
al soffio caldo della macaia
e adesso se ti penso io muoio un pò
se penso a te che non ti arrendi
ragazza silenziosa dagli occhi duri
amica che mi perdi
adesso abbiamo fatto tardi
adesso forse è troppo tardi
Voci di un cielo freddo già lontano
le vele sanno di un addio taciuto
con una mano ti spiego la strada
con l'altra poi ti chiedo aiuto
Genova adesso ha chiuso in un bicchiere
le voci stanche le voci straniere
Genova hai chiuso tra le gelosie
le tue ultime fantasie
E adesso se ti penso io muoio un pò
se penso a te un pò mi arrendo
alle voci disfatte dei quartieri indolenti
alle ragazze dai lunghi fianchi
e a te che un po' mi manchi
ed è la vita intera che grida dentro
o forse il fumo di Caricamento
c'erano bocche per bere tutto
per poi sputare tutto al cielo
erano notti alla deriva
notti di Genova che non ricordo e non ci credo
Genova rossa, rosa ventilata
di gerani ti facevi strada
Genova di arenaria e pietra
anima naufragata
Ti vedrò affondare in un mare nero
proprio dove va a finire l'occidente
ti vedrò rinascere incolore
e chiederai ancora amore
senza sapere quello che dai
perché è la vita intera che grida dentro
o forse il fumo di Caricamento
c'erano bocche per bere tutto
per poi sputare tutto al cielo
erano notti alla deriva
notti di Genova che regala
donne di madreperla
con la ruggine sulla voce
e ognuna porta in spalla la sua croce
tra le stelle a cielo aperto
mentre dentro ci passa il tempo
proprio adesso che ti respiro
adesso che mi sorprendi così
che se ti penso muoio un po'
che se ti penso muoio un po'
che se ti penso muoio un po'

A MILANO O IN UN'ALTRA CITTA'


La malinconia ha infinite tane
infinite come le stelle,
a Milano o in un’altra città,
da cui far alitare la sua aria di stufa accesa.

Da questa citazione di Pasolini ho letto un articolo sulla “psichiatria fenomenologica” ed il modo in cui essa legge il dolore dell’anima. Non so parlare di medicina, ma come sempre leggere la presentazione di un libro di Eugenio Borgna, che si rifiuta nella sua esperienza clinica di rinchiudere la follia dentro mura spesse e opache, fa nascere profonde considerazioni.

Variano l’intensità e la frequenza con le quali si conosce la sofferenza, ma nessuno ne è immune. Jean Amery testimonia e scrive che senza il sentimento di affinità coi minacciati saremmo esuli dalla realtà che rinunciano a loro stessi.

È impossibile tacitare l’anima. Ne deriva un’intima conflittualità che fa avvertire la possibile insensatezza delle cose. Che costringe alcuni di noi a difendersi dalla ricchezza dei pensieri, ad avere nostalgia di quiete. E a non riuscire a vivere compiutamente le illusioni.

C’è in alcuni una forma di pressione che conferisce un peso alle singole cose. È una strana tristezza che resiste in un abbagliante paesaggio interiore. In un racconto di Kafka il malato nel letto decide di nutrire la propria ferita nel fianco non appena capisce che essa non può guarire. La lacerazione è infetta, è vero, ma si apre come un fiore. Perché quella che altri hanno chiamato “la ferita dello sguardo” può portar con sé frutti molto preziosi, come il desiderio che la vita si svolga secondo le consuetudini della bontà e della gentilezza o come il compimento creativo dell’arte. E’ desiderio di amore e di bellezza riuniti in uno, in tutte le sue forme e in tutti i suoi gradi. Lo spiega benissimo Borgna: lo scacco esistenziale è condizione costante nel vissuto di molti artisti, poeti, uomini di pensiero.

Il temperamento malinconico deriva da un senso di colpa, per questo parlavo di pressione, di peso. Un dolore o una sfortuna (malattia e sradicamento, ad esempio) generano senso di colpa. Non è soltanto senso di inferiorità. È un problema di dignità personale, di considerazione di sé davanti agli altri, di disgregazione dell’io. Che produce ipersensibilità e insofferenza alle costrizioni, pubbliche e private, desiderio di solitudine, vita errabonda, bisogno di espandere gli orizzonti fino alla vertigine di ciò che non ha confine.

Dentro questa forte sensibilità le manchevolezze morali del prossimo offendono. La mancanza di aristocrazia, aristocrazia dell’animo fa male. E, in misura particolarmente grave, delude ciò che è basso, volgare. Romano Guardini la chiama affinità elettiva con tutto ciò che può ferire.

Il melanconico si logora, si esaurisce nel tentativo di catturare uno sguardo che lo attraversa senza fermarsi mai su di lui. Fabrizio De André in “Amico Fragile” descrive perfettamente questo eccesso dell’anima, che consiste nell’implorare un po’ d’ascolto, nel voler avere fiducia in uno sguardo comprensivo, in un dialogo emozionale che non rifiuta la dismisura: “con un bisogno di attenzione e d’amore troppo se mi vuoi bene piangi per essere corrisposto”.

La psichiatria fenomenologica propone una psichiatria a misura d’uomo, che non sopprima l’ascolto ma che presti attenzione alle parole del dolore, con frequenza e continuità. La psichiatria che impiega i farmaci a volte le fa tacere troppo in fretta. Le malattie dell’anima sono condizioni comuni all’esistenza umana, ma sono esperienze abissali, dilatate. Il loro linguaggio non va immediatamente tacitato, né, tanto meno, spersonalizzato.

PIANOMILANO


Milano non sei stata buona mai con me
io che non piaccio alla tua gente
e c’ho provato e ancora provo a accarezzarti
ma rimango indifferente
E stasera li a Milano non sei sola
te lo coltivi quell’amore spassionato
io alla pianola di una periferia che nemmeno so suonarla
mi ci faccio compagnia

Prenditi quello che ho sempre creduto per me
Prenditi quello che ho sempre creduto per me
Prendilo e portalo a Milano.

Milano ha più di mille case
io non ti cercherò in nessuna
che ormai è notte e per trovarti mi ci vuole la fortuna che non ho
e nemmeno esco di casa, e nemmeno so spiegarmi perchè sto qui
davanti a questo mezzo piano, a maledire me e Milano

Ma prenditi quello che ho sempre creduto per me
prenditi quello che ho sempre creduto per me
prendilo e portalo a Milano

STEFANO VERGANI